domenica 8 gennaio 2012

Cosa significa non voler capire che la musica è cambiata

Posted in: AttualitàClimatologiaMeteorologia
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Il 2011 è agli sgoccioli, un anno che non si è certo risparmiato dal punto di vista meteorologico, anche nel recentissimo passato. All’inizio dell’autunno piogge torrenziali, perturbazioni atlantiche entrate nel Mediterraneo come un coltello nel burro, territorio flagellato da una tipica circolazione meridiana, con il Paese è flagellato da eventi che non si vedevano dagli anni ’60 e ’70. Se sei sotto l’aria calda sub-tropicale ti viene voglia di andare al mare e aspetti le rondini. Se sei sul bordo discendente del flusso corri a controllare l’attrezzatura invernale. Per gli ottimisti gli sci, per tutti gli altri pneumatici invernali.
E ti dicono che è colpa del riscaldamento globale.
Nel frattempo la east coast americana si beccava la nevicata più precoce dai tempi della guerra d’indipendenza. Morti e feriti. Sempre colpa del global warming.
Poi un flusso ad elevato indice zonale, che tecnicamente significa aria che corre veloce da ovest a est sulla fascia delle medie latitudini. Un flusso sceso sempre più in basso, fino a portare la zona di confine tra l’aria polare e quella appunto delle medie latitudini sul mediterraneo.
Semplice (si fa per dire) variabilità interannuale? In buona parte sì, ma non solo.
Il clima ha virato. Ormai dall’inizio di questo secolo siamo entrati in un nuovo regime circolatorio. Scambi meridiani accentuati, redistribuzione del calore dalle basse alle alte latitudini molto più rapida e impattante di quanto non avvenga con i flussi zonali che scorrono da ovest verso est adagiati nelle westerlies. E se non avessimo insegnato ai termometri delle stazioni di osservazione a vivere in città come facciamo noi lo vedremmo anche nelle serie di temperatura. Che comunque da dieci e più anni sono piatte.
Il nostro territorio doveva diventare un deserto. E’ bagnato fradicio e scivola al mare lungo valloni e fiumare che chissà perché qualcuno pensa che siano state disegnate da un artista pazzo invece di essere state plasmate dalla furia del tempo nei secoli.
Doveva fare sempre più caldo e si susseguono inverni da cartolina, con i policy makersimpegnati su un fronte a promettere fiumi di denaro perché il mondo non si scaldi di più e sull’altro a grattare il fondo del barile per comprare il sale da spargere sulle autostrade.
Sapete quando è successo l’ultima volta? Negli anni ’70, quando qualche buontempone andava in giro spargendo la voce che si stava preparando una nuova era glaciale.
Quale il comune denominatore? Il maltempo? No, anzi, non solo. Il trend negativo della temperatura media del Pianeta (fermi sulle sedie, dall’inizio del secolo le temperature hanno smesso di aumentare e hanno cominciato a diminuire), e il segno degli indici oceanici. Con l’aggravante che nel frattempo si è anche addormentato il Sole. Quanto ci vorrà perché i sapienti si accorgano che questa fase climatica ha come caratteristica principale gli scambi meridiani perché è il Vortice Polare a menare le danze? Quanto ci vorrà perché ci si renda conto che aver smesso di guardare il mondo nella sua complessità e interezza prediligendo spiarlo dallo schermo di un terminale ci ha portati completamente fuori strada?
Ecco due coppie di immagini che dovrebbero far riflettere: Le prime due rappresentano l’anomalia dell’altezza del geopotenziale alla quota isobarica di 10hPa nei periodi 1988-1999 e 2000-2011 mentre le altre due rappresentano l’anomalia del vento zonale per la stessa quota negli stessi periodi. La fonte è il database della reanalisi dell’NCEP/NCAR.
Quale la differenza? Come si può facilmente notare si è ribaltato il trend di fondo. Nel primo periodo (1988-1999) si è rilevato un abbassamento di quota in zona polare ed un innalzamento nel resto dell’emisfero, viceversa nel periodo 2000-2011. Il risultato è un rafforzamento netto del vortice polare nel primo caso con un dislivello tra alte e medie latitudini incrementato e con conseguente accelerazione della circolazione zonale. Nel secondo periodo si evidenzia un dislivello più attenuato tra alte e medie latitudini con conseguente decelerazione della circolazione zonale. Sicché nella prima coppia leggiamo le cause, nella seconda gli effetti.
Nel secondo periodo, inoltre, il vortice polare è stato più espanso, una situazione quest’ultima non molto dissimile da quella degli anni ’70.
Ora, il regime circolatorio su larga scala regola in continuazione la redistribuzione del calore sul Pianeta, ma definisce anche il tempo atmosferico. Una zonalità alta di latitudine significa per il Mediterraneo sistemi perturbati meno frequenti, con l’aria calda dal nord-Africa che sale invece più spesso. Con una zonalità più bassa di latitudine invece, non solo è più facile che le correnti assumano temporaneamente una direttrice meridiana accentuando il gradiente termico e favorendo perturbazioni molto intense, ma tutto il sistema freddo delle alte latitudini espande il suo dominio.
In un modo o nell’altro, questo ha inevitabilmente il suo peso sulle temperature medie. Noi pensiamo di sapere come, così come lo pensano molti altri che da qualche tempo in qua hanno preso atto della stasi del global warming e dell’imminenza di una fase di raffreddamento (forse già iniziata). Nei prossimi anni vedremo chi ha ragione, ma temo di saperlo già. Vince sempre la Natura.

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